La sentenza n.125/22 della Corte Costituzionale ha fatto nascere il dibattito se l’obbligo di repechage costituisca o meno parte integrante del fatto posto a base del licenziamento.
Le prime decisioni della Corte di Cassazione si sono orientate nel senso affermativo: infatti, la Cassazione con la sentenza n. n.33341 del 11 novembre 2022 ha annullato una decisione di merito che aveva somministrato una tutela meramente indennitaria, invitando il giudice del rinvio a rivalutare la questione alla luce del mutato quadro normativo.
Pur non esprimendosi direttamente, va rilevato che il motivo di ricorso consisteva nel fatto che, secondo l’istante, a fronte dell’accertata violazione dell’obbligo di repechage si sarebbe dovuta disporre la reintegrazione del lavoratore.
Avendo la Corte cassato la sentenza di secondo grado a fronte di tale doglianza, già da questa prima decisione pare evidente che la Cassazione continui a considerare l’obbligo di repechage come parte del “fatto” costitutivo del giustificato motivo oggettivo, in quanto –diversamente opinando- avrebbe dovuto rigettare il ricorso e motivare sul punto.
Successivamente l’orientamento si è più nettamente delineato con la sentenza 19 novembre 2022 n.34049, la quale ha richiamato espressamente la decisione della Consulta ed ha affermato, stavolta a chiare note, che il fatto che è all’origine del licenziamento include “il nesso causale tra le scelte organizzative del datore di lavoro e il recesso del contratto, che si configura come extrema ratio, per l’impossibilità di collocare altrove il lavoratore”.
Tale principio è stato da ultimo ribadito, in questi esatti termini, da Cass.2 dicembre 2022 n.35496.