E' stato pubblicato in  Gazzetta Ufficiale  il decreto legge 12 luglio 2018 n.87, generalmente noto come "Decreto Dignità".

Il decreto, oltre ad innalzare i livelli di tutela in caso di licenziamento per i lavoratori sottoposti alla disciplina di cui al d.lgs.n..23/15 (c.d. tutele crescenti) pone importanti limitazioni all'utilizzo del contratto a termine  nonché  introduce forti vincoli alle società di somministrazione.

Per quanto attiene il contratto a tempo determinato, infatti, a  parte  i primi dodici mesi (nel quale il contratto a termine  può essere stipulato o prorogato anche senza causale), per i periodi  successivi sino ad un massimo di 24 mesi il rinnovo è possibile solo in  presenza di alcun specifiche causali.

Fatta però eccezione per  le esigenze sostitutive di altri lavoratori,   le altre ipotesi sono decisamente stringenti.

Infatti: a) le esigenze temporanee e oggettive devono essere estranee  all’ordinaria attività del datore di lavoro. Il concetto di estraneità  all’ordinaria attività rende quantomai limitata la fattibilità  concreta  di questa causale,  in quanto è molto difficile enucleare ipotesi in cui  l’attività dedotta in contratto non rientri in qualche modo nel normale  ciclo produttivo; b) l’incremento temporaneo di attività, oltre che significativo, deve  essere non programmabile. Questa ipotesi, oltre che stringente, non è neppure molto chiara:  infatti, appare estremamente pericoloso per il datore di lavoro  procedere ad  una proroga quando ci si affida ad un  parametro così vago come quello della significatività Ancora,  il riferimento alla non programmabilità  del motivo comporta  che per tutte le attività di intensificazione ciclica dell’attività  produttiva il lavoro a termine sarà possibile solo se ricondotto al  fenomeno  della stagionalità. I. Nel contempo, tale norma farà  rivivere  un contenzioso  che  si era  molto affievolito, dal momento   che –per chi vorrà avventurarsi  in  rinnovi oltre i dodici mesi- il rischio di controversia giudiziaria sarà  elevatissimo. In buona sostanza, siamo ritornati –per il periodo successivo ai primi  dodici mesi- al regime della l.n.230/62, dove il contratto a  termine era ammissibile solo in limitate ipotesi tipizzate al  legislatore. Tra l’altro, la norma  in esame non pare prevedere la possibilità per la  contrattazione collettiva di  introdurre altre ipotesi di  legittimo  rinnovo  del contratto a termine, per cui  -sempre con l'eccezione dei primi dodici mesi- si è  tornati   alla situazione anteriore all’ art.23 della l.n.56/87 ( che aveva per  l’appunto  consentito ai contratti collettivi nazionali di  prevedere  ipotesi di stipula del contratto a  termine, proprio per attenuare le  rigidità della l.n.230/62). Ma addirittura è stato superato in senso restrittivo anche il decreto  legislativo  n.368/01, che consentiva l’apposizione del termine in   presenza di ragioni tecniche produttive, organizzative  e  sostitutive:  infatti, con tale norma  veniva abbandonato il sistema delle specifiche   causali di cui alla l.n.230/62 e veniva generalmente consentita  l’apposizione di un termine, purchè giustificata da ragioni oggettive la  cui determinazione era rimessa alle parti  ed in ordine alle quali il  Giudice poteva effettuare solo un vaglio  in ordine alla effettività  della motivazione dedotta, senza entrare nel merito delle scelte  datoriali. E tale limite al sindacato  era stato anche rafforzato dall’art.30 del  l.n.183/10, secondo cui “in tutti i casi nei quali le disposizioni di  legge nelle materie di cui all’articolo 409 del codice di procedura  civile e all’ articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo  2001, n. 165, contengano clausole generali, ivi comprese le norme in  tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri  datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale è  limitato esclusivamente, in conformità ai princìpi generali  dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non  può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche,  organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al  committente”.

Si tratta  quindi di una evidente  inversione di tendenza rispetto agli interventi legislativi degli ultimi anni, per la quale si dovrà peraltro verificare  la tenuta  in sede di conversione.

 

Studio Legale Avv. Mastrangeli Fabrizio Domenico Cod. Fiscale MSTFRZ63E06C745K P.iva 01684270547